Giuseppe Uncini nasce a Fabriano nel 1929. Dopo una prima formazione artistica autodidatta, si trasferisce a Roma nei primi anni ’50, entrando in contatto con l’ambiente della sperimentazione astratta e informale. Sin dagli esordi, si distingue per un approccio rigoroso e analitico, orientato alla definizione di un nuovo rapporto tra forma, spazio e materia.
Nel 1958 inizia il ciclo delle Cementarmature, opere in cui ferro e cemento diventano linguaggio plastico autonomo: non imitazione, ma costruzione. Negli anni seguenti approfondisce la riflessione sullo spazio architettonico, elaborando i cicli Spazicemento, Strutturespazio e Ombre, nei quali la scultura si confronta con l’idea di architettura come pensiero visivo.
La sua ricerca attraversa i decenni con coerenza e radicalità, in dialogo con l’evoluzione dell’arte contemporanea europea. Muore a Trevi nel 2008, lasciando un corpus di opere che ridefinisce i confini tra scultura, architettura e progetto.
Con Spazi di ferro, Giuseppe Uncini restituisce alla materia la dignità del pensiero. Il ferro disegna, il cemento sostiene: insieme non costruiscono, ma svelano. L’opera non rappresenta lo spazio, lo incarna. È un’architettura ridotta all’osso, dove la struttura si fa forma, e la forma riflette il vuoto che la abita.
Non c’è ornamento, non c’è narrazione: solo il rigore di un linguaggio che ha scelto la nudità come condizione di verità. Le geometrie di Uncini non si impongono, resistono. In esse il peso diventa misura, il materiale si fa pensiero strutturale. Ogni opera è una soglia, una tensione trattenuta tra presenza e assenza, tra costruzione e rovina.
Spazi di ferro è il tentativo lucido di abitare il silenzio con la materia, di dare un volto all’invisibile.
Giuseppe Uncini nasce a Fabriano nel 1929. Dopo una prima formazione artistica autodidatta, si trasferisce a Roma nei primi anni ’50, entrando in contatto con l’ambiente della sperimentazione astratta e informale. Sin dagli esordi, si distingue per un approccio rigoroso e analitico, orientato alla definizione di un nuovo rapporto tra forma, spazio e materia.
Nel 1958 inizia il ciclo delle Cementarmature, opere in cui ferro e cemento diventano linguaggio plastico autonomo: non imitazione, ma costruzione. Negli anni seguenti approfondisce la riflessione sullo spazio architettonico, elaborando i cicli Spazicemento, Strutturespazio e Ombre, nei quali la scultura si confronta con l’idea di architettura come pensiero visivo.
La sua ricerca attraversa i decenni con coerenza e radicalità, in dialogo con l’evoluzione dell’arte contemporanea europea. Muore a Trevi nel 2008, lasciando un corpus di opere che ridefinisce i confini tra scultura, architettura e progetto.
Con Spazi di ferro, Giuseppe Uncini restituisce alla materia la dignità del pensiero. Il ferro disegna, il cemento sostiene: insieme non costruiscono, ma svelano. L’opera non rappresenta lo spazio, lo incarna. È un’architettura ridotta all’osso, dove la struttura si fa forma, e la forma riflette il vuoto che la abita.
Non c’è ornamento, non c’è narrazione: solo il rigore di un linguaggio che ha scelto la nudità come condizione di verità. Le geometrie di Uncini non si impongono, resistono. In esse il peso diventa misura, il materiale si fa pensiero strutturale. Ogni opera è una soglia, una tensione trattenuta tra presenza e assenza, tra costruzione e rovina.
Spazi di ferro è il tentativo lucido di abitare il silenzio con la materia, di dare un volto all’invisibile.
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